Social, colori, inquadrature

Articolo a cura di Alessandro Marangon


E’ vero, è incontestabile che i Social Network (Instagram in testa), hanno fatto delle immagini la loro essenza, riducendo testi e parole a titoli o didascalie.

Se è vero che “un’immagine racconta più di mille parole”, se è un dato di fatto che ogni giorno vengono caricati milioni di fotografie che ormai conosciamo meglio di casa nostra, se tutto questo è incontrovertibile, lo sono anche i paradossi che ne conseguono:

  • Nessun “luogo” come un Social è meno adatto a mostrare una fotografia.
  • Mai come oggi, fotografia e filmati sono meno “capaci” di raccontare qualcosa.

Sono due provocazioni? In minima parte si.

La fotografia non è fine a sè stessa

Per quanto possa essere eccelsa la definizione di uno smartphone, di un tablet, la fotografia ha bisogno di uno spazio maggiore per acquisire “verità” (o meglio “profondità”).

C’è bisogno di avere quella percezione visiva e sensoriale che ci permette di capire e “sentire” meglio quelle distanze che intercorrono fra i vari soggetti dell’immagine.

Nonostante sia il più diffuso, Instagram è indiscutibilmente inadatto a mostrare una fotografia.

La fotografia è uno strumento per raccontare una storia

Penso sia cambiato, erroneamente, il valore vero della fotografia.
Il valore di una fotografia, oggi, viene misurato in base alla quantità di pixel che il dispositivo ci offre, grazie ad una buona strategia (bugia) di marketing: Più cresce quel numerino, più lo strumento in questione è valido. Una proporzione concettuale errata però.

In verità, la sola risoluzione, non basta per costruire una buona foto.
Inoltre siamo abituati a percepire quello che vediamo sul feed di Instagram o Facebook come qualcosa di “alto” senza ombra di dubbio, di valido, di spettacolare. Ma la fotografia porta con sé una “sapienza” (tecnica o concettuale) che molte volte è completamente ignorata da chi crea contenuti per queste piattaforme:

  • La costruzione dell’immagine
  • I “terzi medi”
  • La profondità
  • La disposizione degli oggetti
  • La temperatura colore
  • Il gioco della messa a fuoco

oltre alle questioni prettamente storiche e l’esperienza del professionista, o dell’amatore consapevole, sovente risultano molto lontane da ciò che si vede sui Social.

Se è vero insomma che proprio grazie all’avvento di queste piattaforme tutti possiamo permetterci di “dire la nostra” in modo pubblico, è vero anche che risulta ogni giorno più complicato distinguere fra cosa possiede una sostanza,  da ciò che non lo ha.

Esiste poi la questione dei fruitori di contenuti, ancora una volta noi.

Non basta che i creatori di contenuti siano consapevoli: per tutti i discorsi fin qui analizzati, dovrebbero esserlo anche gli “spettatori”. Che, come sappiamo, nel caso dei Social sono le stesse persone. Consapevoli significa conoscere quantomeno ciò descritto nei paragrafi sopra.

Proviamo a fare un esempio usando una metafora: il feed (o la bacheca) di una piattaforma Social è una vetrina. Ci si aspetterebbe che se quella fotografia in vetrina fosse di nostro interesse, entreremmo a visitare la mostra, o a sfogliarne il libro o il catalogo.

Invece è solamente lapalissiana, lo schermo (anche il più bello) del nostro smartphone non è un cinema, e neppure una galleria d’arte.

Le potenzialità di una “vetrina estesa”, se vogliamo concepirla così, quali risultano il Web e i Social, sono immense, nulla a che vedere coi canali tradizionali di una volta (dove per una volta si intende pochissimi anni fa), e questo è probabilmente un bene, una ricchezza entusiasmante di possibilità.

Ecco, tutte queste cose non le si imparano più attraverso uno studio mirato, una conoscenza approfondita o qualsiasi altro modo che consideriamo canonico o sacrosanto, ma, grazie a quelle persone propositive in questo immenso spazio chiamato web, attraverso contenuti che già esistono, ed in particolare dal cinema.
La tendenza oggi, seppur timida, è quella di ispirarsi alla regola dei terzi vista nei film del cinema,

alle “color” proprie della fotografia cinematografica,

allo story telling tanto simile alla fotografia di scena e ai supporti di pubblicità per il cinema degli anni ’40, ’50 e ’60

Il formato di una foto comincia ad essere scelto in anticipo, così come la lunghezza focale, proprio come quando il regista sceglie gli obiettivi in base all’inquadratura e suggestione che vuole ottenere.
Le inquadrature iniziano ad avere una logica, un contenuto, una regola che non è data dai soli libri o corsi di fotografia, ma anche (o soprattutto) dal fascino del cinema.

Penso che le persone oggi abbiano voglia di affascinarsi come lo si fa davanti una proiezione cinematografica.
E, anche se inconsapevolmente o perché dettata dal marketing e dall’estetica, oggi il cinema e le sue regole vengono prese molto in considerazione anche nei social.

Diventa perciò importante conoscere i vari tipi di inquadratura, capire perché c’è la necessità di una profondità di campo, di una messa a fuoco mirata.

Si incomincia a studiare il significato dei colori, ad adottarli (per comunicare un messaggio o per attirare l’inconscia curiosità del fruitore).

Ovviamente, il pubblico o gli “utilizzatori” di tutto questo, si possono dividere in varie categorie:

  • Quelli che non hanno ancora capito
  • Quelli che lo hanno capito e lo fanno
  • Quelli che lo fanno perché lo vedono fare

Per questo motivo, chi non ha ancora capito, pretende (falsamente) di essere sopravvalutato e si arrabbia se questo non avviene.
Per questo motivo, chi fa quello che fanno gli altri, senza aver capito bene, spende molti soldi per comprare pacchetti “già fatti” per colorare le foto a “sentimento”.
Per questo motivo, chi ha capito come funziona e lo applica in modo intelligente, fa tanti soldi.

Il Mio consiglio è quello di guardarvi intorno, di avere qualcosa da comunicare e non soltanto qualcosa di bello da mostrare, di trasmettere, di dare l’opportunità di approfondire, ma soprattutto di contaminare e contaminarsi.

Oggi, il cinema ha questa enorme potenza: Contaminare, in modo consapevole o inconsapevole, il popolo social e tutto ciò che ne consegue.


Fonti e approfondimenti