Fotografia di scena: le origini

Articolo a cura di Alessandro Marangon


Cinematografo

Universalmente, la data di nascita del Cinematografo è il 25 Dicembre 1895, a Parigi. Mentre in Italia avviene poco dopo, con la prima proiezione a Roma, nel 1887.

Cinematografo, dal greco: kinéma (movimento) e gràphein (scrivere), letteralmente, significa scrivere il movimento.
Più liberamente si può tradurre: “movimento di immagini”

La cinematografia, nasce sulle base, sull’esperienza, sulla conoscenza fatta nella fotografia.

Il metodo di ripresa, il concetto di racconto  è lo stesso medesimo.
Inoltre, di riflesso, i primi studi fotografici di natura squisitamente analitica e documentale, vengono rispettati anche dal cinematografo.

Il cinematografo costituisce quindi il naturale sbocco delle esperienze fatte in ambito fotografico. Il legame viene confermato anche dalla descrizione nelle prime epiteti. Ad esempio, a Roma nel 1897, viene aperta la sala di “Fotografie Viventi”

La cinematografia potrebbe essere detta la prima e splendida figlia dell’arte fotografica.

La fotografia di scena: come nasce.

Da quando è nato, il cinema e la fotografia, hanno percorso strade parallele e sinergiche, soprattutto quando il primo, nel corso dei primi anni del ‘900, si è affermato come spettacolo popolare ed ha avuto il bisogno di palesarsi al di fuori del buio delle sale di proiezione, per rivolgersi ad un pubblico sempre più grande, attraverso “frammenti statici” che gli fanno da cassa di risonanza: La fotografia di scena.

Già nel 1910, insieme allo sviluppo artistico-creativo dei contenuti cinematografici, diventa necessaria veicolare un’immagine del film che contiene e trasmette, anche agli analfabeti, un’idea seduttiva e comprensibile del carattere e dei temi del film proposto.
Dunque, da una necessità commerciale, nasce la fotografia di scena.
Con un intento sostanzialmente informativo e promozionale, esse venivano inserite all’interno di buste fotografiche fornite dai produttori ai potenziali distributori e finanziatori.

Era il modo più diretto per raggiungerli e mostrare il proprio prodotto.

A livello nazionale invece, per far conoscere il proprio film, il proprio prodotto, venivano un particolare supporto mediatico: la cartolina postale.
Questa funzionava molto bene, in quanto non c’era televisione, rotocalchi e la pubblicità murale era molto scarsa. La cartolina si rivelò essere lo strumento adatto, grazie alla facilità di fabbricazione, trasporto e diffusione. Questa inoltre, aveva il potenziale del “passamano”. Una stessa cartolina poteva raggiungere più utenti. Raddoppiando di fatto le possibilità di diffusione.

Le immagini di scena dei primi film muti, venivano diffuse in serie, con didascalie, in una scansione da 6 a 12 fotografie.

E’ la fotografia a sedurre ed avvicinare al cinema.

Fotografare i set, all’inizio, non veniva considerata un’opera artistica, ma piuttosto un lavoro di routine da eseguire senza sforzi creativi.
Molti dei primi fotografi di scena (o proto-fotografi di scena), furono gli stessi cameraman dei primi film, oppure provenivano direttamente dalla fotografia di scena teatrale, attirati dalla novità e dalle possibilità del cinema. Tra questi vi era anche una parte di fotografi professionisti che si approcciavano al nuovo ambito ancora da esplorare.

L’evoluzione della fotografia di scena, ha quindi scopi esclusivamente pubblicitari. Nasce con le cartoline, ma si evolve, passando dalla Brochure, dal manifesto, dalla locandina, fino alle foto buste.
Questa fase documentale è anche detta “proto-fotografia di scena”
Se in un primo momento questa era solo un’istantanea della scena, con soggetti davanti ad uno sfondo inerte, col tempo la scena si arricchisce di oggetti, di espressività, di ambienti tali da poter raccontare, in una sequenza di scatti, la trama del film.

Caratteristiche delle origini.

Le rigide convenzioni stilistiche dell’epoca e i limiti tecnici, costringevano le foto ad essere mere ripetizioni dei momenti salienti del film, riprendendo queste scene dopo essere già state colte dalla macchina da presa.
Le immagini erano nette e definite, più documentaristiche e prive di qualsiasi forma di creatività artistica (caratteristica che in seguito ne avrebbe contraddistinto il suo lavoro).
La fotografia doveva essere in tutto e per tutto identica al girato. Gli attori venivano richiamati sulla scena delle riprese e invitati a simulare la stessa recitazione. Lo scopo era di riportare il più fedelmente possibile quanto già impresso sulla pellicola cinematografica.
A dirigere la fotografia e dare indicazioni al fotografo, era spesso il regista stesso. Questo è un chiaro esempio delle non riconosciuta abilità del fotografo di scena dell’epoca: con mezzi, modalità e tempistiche differenti, doveva riuscire a rendere il risultato finale del suo lavoro affine a quello filmico, sia per l’aspetto, che per luminosità e brillantezza. In sostanza, doveva limitarsi a riprodurre un momento del film ritenuto emblematico.

Qualcuno disse <<Fotografia!!>>. Presi il cavalletto con sopra la macchina e mi avvicinai in attesa che i macchinisti spostassero il carrello con la cinepresa. Misi la macchina nello stesso punto, controllai l’inquadratura attraverso il vetro smerigliato e mi accorsi che abbracciavo un campo troppo ampio. Portai allora la macchina più avanti e inizia le operazioni di rito. Una volta pronto per la fotografia, con la peretta in mano, dissi: <<Prego>>. [gli attori] presero posizione e, al momento giusto, pronunciai l’imperioso: <<Fermi!>>. L’otturatore si aprì in conseguenza della pressione esercitata da me sulla peretta. Contai mentalmente un secondo e mezzo e subito dopo pronunciai il <<Grazie>>. Erano le tre magiche parole: Prego, fermi… grazie, quelle pronunciate per eseguire una foto

Civirani Osvaldo

Fu questo modo di lavoro a confinare i fotografi al ruolo di semplici artigiani e non maestri d’arte.

In seguito, le riviste pubblicitarie e di fotografia, danno nuove possibilità e sbocchi alla comunicazione pubblicitaria dei film e soprattutto pongono le basi per il dibattito relativo la fotografia di scena, ponendo le basi per la propria autoaffermazione della identità.
Questo percorso, porta la fotografia di scena alla sua maturazione in ambito tecnico e ideologico, cominciando già alla fine del primo decennio del ‘900.
In ogni caso, in tutto questo periodo, la fotografia di scena, o meglio, la proto-fotografia di scena, veniva sempre eseguita durante le pause di lavorazione del film ed al fotografo veniva imposta la replica di quanto precedentemente registrato dalla macchina da presa.

Il vero periodo di prosperità e cambiamento della fotografia di scena, avviene dall’inizio degli anni ’30 alla fine degli anni ’60, soprattutto grazie al fotoromanzo. La stampa a rotocalco (o rotocalcografia) apporta sostanziali miglioramenti nella riproduzione delle immagini fotografiche, anche a colori.

Sulle pagine delle riviste di settore, molte delle quali nate proprio in questi anni, si struttura un nuovo impianto grafico, un ibrido tra una semplificata forma letteraria ed un uso sofisticato ma al contempo più popolare delle foto di cinema.

Ecco quindi l’avvento dei rotocalchi cinematografici: i Cineromanzi.

Nel cineromanzo a puntate le foto di scena sono esposte in successioni narrative didascalizzate, costituendo una forma espressiva indubbiamente più matura e commerciale, dei precedenti.

È sostanzialmente un racconto illustrato e romanzato, tratto dalla trama di un film di successo (una sorta di fotoromanzo ante litteram), su cui lo spazio della narrazione letteraria è intercalato a foto di scena, che richiamano lo spazio-tempo del film. Edito a volte dopo l’uscita del film nelle sale, in altri casi contemporaneamente (se non addirittura in anticipo e usato come autentico trailer di un lungometraggio).

Il grande valore di queste pubblicazioni, l’aumento del numero di fotografie di scena impiegate, la maggiore importanza che gli si attribuisce, porta sempre più spesso a citare anche l’autore delle fotografie stesse.
Questo spinge i fotografi a migliorarsi anche in campo creativo, che in questo periodo comincia ad emergere.

Parallelamente al cineromanzo, la fotografia di scena veniva utilizzata anche per copertine dei libri.

Sia per i cineromanzi, sia per quest’altro uso delle fotografie di scena, lo scopo era spiccatamente propagandistico. L’intento era di innescare un circolo virtuoso, volto ad ampliare la diffusione del cinema, sfruttando il sempre più florido mercato del culto del divo, a seguito del quale cresceva anche la richiesta di queste riviste specializzate. 

Queste forme editoriali davano al pubblico la possibilità di incontrare gli oggetti dei propri desideri, i divi appunto, materializzazione della magia del cinema. 

E, come è ovvio, in conseguenza alla maggiore richiesta di queste riviste, aumentò di rimando anche il bisogno delle fotografie di cinema necessarie alla loro realizzazione.

In questi anni, il ruolo della fotografia di scena, viene portata da semplice foto documentaristica di una scena del film, a vero e proprio ritratto d’autore, con spiccate doti tecniche e creative, dando inizio al mito del divo cinematografico, a risaltarne le doti e i pregi.

Qui comincia la fotografia di scena che noi conosciamo.


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